LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: 1) C.v., avverso l'ordinanza n. 449/2010 Trib. Liberta' di Trieste, del 7 ottobre 2010; Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Massimo Vecchio; Udito, altresi', in camera di consiglio: - il rappresentante del Pubblico Ministero in persona del dott. Francesco Mauro Iacoviello, sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, il quale ha concluso per iI rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Rileva 1. - Con ordinanza, deliberata il 7 ottobre 2010 e depositata il 13 ottobre 2010, il Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice distrettuale del riesame delle ordinanze che dispongono misure coercitive, ha confermato la ordinanza di custodia cautelare in carcere del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pordenone, 14 settembre 2010, a carico di V. - C., indagato per il delitto di omicidio premeditato e aggravato dalla crudelta', commesso in pregiudizio di M. S. il , motivando, per quanto qui rileva: la materialita' della condotta omicida e' pacifica; l'indagato, il quale si e' costituito poche ore dopo il fatto di sangue consegnando l'arma del delitto e gli indumenti indossati, e' confesso; la esternazione, alcuni giorni prima dell'omicidio, di propositi di vendetta nei confronti della vittima (S. aveva iniziato all'uso della droga la donna di cui C. era innamorato, cagionando a costei gravi danni alla salute) e specifici riferimenti alla definitiva sistemazione delle cose in occasione del concordato incontro con l'antagonista, la predisposizione dell'arma del delitto danno conto della premeditazione; il numero e la tipologia delle ferite inferte col pugnale comprovano l'aggravante della crudelta'; manifestamente infondata e' la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 275 cod. proc. pen., agitata dai difensori, in relazione "all'inversione dell'onere della prova"; non giova il richiamo, quale criterio di raffronto, al recente arresto del giudice delle leggi in materia di reati sessuali in considerazione della "valutazione di massima gravita'" correlata al delitto di omicidio e fondata su dati obiettivi; nella specie non ricorre la ipotesi della insussistenza delle esigenze cautelari; assumono rilievo, in proposito, la "intrinseca e inaudita gravita' del fatto", la pericolosita' dell'indagato, per l'omesso controllo della pulsione omicida, per la premeditazione e per la modalita' della commissione; mentre non e' "incongrua l'individuazione!' del pericolo di fuga. 2. - Ricorre per cassazione l'indagato, col ministero dei difensori di fiducia, avvocati Roberto Lombardini e Franco Vampa, mediante atto recante la data del 2 novembre 2010 col quale sviluppa due motivi e, in via gradata, eccepisce la illegitti- mita' costituzionale dell'articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce la presunzione assoluta di adeguatezza della coercizione intramuraria per supposta violazione a) dell'articolo 3 della Costituzione, per la "ingiustificata parificazione" del delitto di omicidio ai "delitti di mafia"; b) dell' articolo 13 della Costituzione per la lesione "del principio costituzionale del minor sacrificio necessario"; c) dell'articolo 27, comma 2, della Costituzione per la attribuzione alla "coercizione processuale di tratti funzionali tipici della pena". 2.1 - Con il primo motivo i difensori denunziano inosservanza ed erronea interpretazione degli articoli 274, comma 1, lettere b) e c) e 275 cod. proc. pen. deducendo: "peculiarita' e specificita' del fatto e delle motivazioni dell'agire" dimostrano la insussistenza del pericolo di recidiva; non vale il riferimento al mancato controllo dell'impulso omicida che e' intrinseco a ogni delitto di omicidio, anche se connotato dal dolo di impeto; la applicazione delle misure cautelari non deve assolvere la funzione della sanzione penale; il Tribunale ordinario ha trascurato di considerare le dichiarazioni di B. A. e di E. S.; l'appuntamento dato dall'indagato all'amico A. sul luogo del delitto contrasta con la premeditazione; la S. ha riferito che l'indagato portava spesso con se' un coltello di notevoli dimensioni; neppure sussiste il pericolo di fuga avuto riguardo alla tempestiva costituzione, alla consegna dell'arma del delitto e degli indumenti, alla collaborazione prestata e alla confessione resa al Pubblico Ministero. 2.2 - Con il secondo motivo il ricorrente denunzia inosservanza ed erronea interpretazione dell'articolo 275, comma 3, cod. proc.. pen. in relazione alla (ritenuta) presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere. I difensori richiamano, con diffuse citazioni testuali, il recente arresto del Giudice delle leggi, 7 luglio 2010, n. 265, recante declaratoria della "illegittimita' costituzionale dell'articolo 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall'articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 609-bis. e 609-quater del codice penale, e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure". E argomentano che le considerazioni sviluppate da quella Corte (con particolare riferimento alla questione scrutinata concernente i reati sessuali) si attagliano al delitto di omicidio, sotto il profilo che la "eccezione al regime ordinario delle misure cautelari personali", quanto alla presunzione assoluta di adeguatezza della coercizione intramuraria, non puo' estendersi al di la' dell'ambito dei delitti di tipo associativo, originariamente considerato dal legislatore, si' da comprendere pure la ipotesi dell'omicidio che si connota, nella specie, per il carattere "meramente individuale" della condotta. Conclusivamente i difensori postulano la "interpretazione costituzionalmente orientata" della norma, nel senso del riconoscimento del carattere "relativo" della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, e censurano l'omessa valutazione della gradata istanza di sostituzione della coercizione applicata con gli arresti domiciliari, richiamando le deduzioni formulate col primo motivo. Segue, in subordine, la proposizione dell'eccezione di illegittimita' costituzionale. 3. - Il ricorso merita parziale accoglimento, nei sensi appresso indicati. 3.1 - Giova ricordare che l'articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., come reiteratamente novellato, stabilisce due presunzioni: l'una, a carattere relativo, attiene alle esigenze cautelari, da considerarsi sussistenti, salvo che consti la prova della loro mancanza; l'altra, a carattere assoluto, concerne la scelta della misura, nel senso che, se la presunzione relativa non risulti confutata, soccorre l'apprezzamento della legge, affatto vincolante, circa la esclusiva adeguatezza della sola custodia carceraria a infrenare il periculum libertatis, con conseguente esclusione di ogni soluzione intermedia tra questa e lo stato di piena liberta' dell'imputato (e col correlato divieto di applicazione di alcuna misura piu' blanda rispetto alla coercizione intramuraria). Orbene, nella specie, il ricorrente,- in linea principale, contrasta la presunzione relativa di ricorrenza del periculum libertatis, postulando l'insussistenza delle esigenze cautelari ritenute dai giudici di merito ai sensi dell'articolo 274, comma 1, lettere b) e c), cod. proc. pen. - e' fuori discussione che non ricorra, alcun pericolo per l'acquisizione e la genuinita' della prova - in via gradata, propugnando il carattere relativo pur della presunzione di adeguatezza della misura ablativa, censura l'omesso scrutinio della mozione difensiva di applicazione degli arresti domiciliari; e, in estremo subordine, eccepisce l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 275, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui, in relazione al delitto di omicidio, sancisce l'adeguatezza iuris et de iure della custodia cautelare in carcere. 3.2 - Il primo motivo del ricorso e' inammissibile. Il giudice a quo ha dato conto delle ragioni per le quali, avuto riguardo al titolo del reato, la presunzione iuris tantum del pericutum libertatis, in relazione alla recidiva, non potesse ritenersi vinta e superata, facendo riferimento precipuamente alla analisi della condotta delittuosa con riferimento alle modalita' efferate del fatto di sangue e all'elemento psicologico del reato, valorizzando la premeditazione e, in proposito, rilevando che l'indagato aveva maturato ed esternato il proposito delittuoso, gia' da alcuni giorni. I difensori i quali hanno allegato, in punto di fatto, la circostanza dell'appuntamento dato dall'indagato al sodale A., pretendendo di inferirne (merce' apprezzamento di merito) la inconciliabilita' colla premeditazione, non hanno confutato succitati profili posti a fondamento dai giudici di merito della abduzione indiziaria della aggravante. Eppero' il primo mezzo di impugnazione non presenta adeguata correlazione con la ratio decidendi della ordinanza impugnata (v., circa il requisito della correlazione, Cass., Sez. I, 30 settembre 2004, n. 39.598, Burzotta, massima n. 230.634, secondo la quale "e' inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non puo' ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificita', che conduce, ex articolo 591, comma primo, lett. c), C.P.P. all'inammissibilita' del ricorso"): non impinge -- in quanto affatto privo del necessario aggancio - la struttura portante del costrutto argomentativo della decisione nella prospettiva, prescritta dal rito, della confutazione dialettica delle ragioni specifiche effettivamente poste dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata. Sicche' il motivo difetta del requisito della specificita', prescritto dall'articolo 581, comma 1, lettera c) C.P.P. e sanzionato, a pena di inammissibilita', dall'articolo 591, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. 3.3 - Quanto al secondo motivo, il tenore letterale - di indiscutibile e univoca significazione dell'articolo 275, comma 3, secondo inciso cod. proc. pen. (siccome sostituito dall'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legge 23 febbraio 2009, n. li, convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38: "quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo [..] 575 Codice Penale [..] e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelarf') non permette di porre ragionevolmente in discussione il carattere assoluto della presunzione di adeguatezza della misura intramuraria, nel concorso di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari. 3.4 - Residua, pertanto, la disamina della eccezione di illegittimita' costituzionale formulata dal ricorrente. 3.5 - La questione e' rilevante. Escluso, in ipotesi, il carattere assoluto della presunzione di adeguatezza della custodia intramuraria, il provvedimento impugnato non si sottrarrebbe, allora, al rilievo della mancata valutazione della mozione di applicazione degli arresti domiciliari, gradatamente avanzata dal ricorrente e sorretta dalla considerazione della incidenza esercitata sul grado di intensita' delle esigenze cautelari - e sulla selezione della misura adeguata - dalla costituzione dell'indagato, dalla confessione e della condotta di collaborazione successiva al reato. 3.6 - La questione non e' manifestamente infondata. 3.6.1 - Deve premettersi che - pressoche' in termini (salvo il profilo del supposto contrasto coll'articolo 27, comma 2, della Costituzione non considerato) - questa Corte ha reputato "manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli articoli 3 e 13 Cost., della modifica dell'articolo 275, comma terzo, cod. proc. pen., operata dall'articolo 2, comma primo, lettera a-bis) del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito dalla legge 23 aprile 2009 n. 38, che ha esteso al delitto di omicidio volontario la presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia cautelare in carcere, sotto il profilo della sua disomogeneita' rispetto ai delitti gia' inclusi, posto che, invece, al pari di questi, anche l'omicidio ha riguardo ad un bene primario di valenza individuale e collettiva quale, nella specie, quello della vita umana" (Sez. I, 18 dicembre 2009, n. 8084, Fini, massima n. 246251). La succitata declaratoria ha tratto argomento da pregressi arresti del Giudice delle leggi, il quale, anzitutto, aveva divisato che "compete al legislatore l'individuazione del punto di equilibrio tra le diverse esigenze, della minore restrizione possibile della liberta' personale e dell'effettiva garanzia degli interessi di rilievo costituzionale tutelati attraverso la previsione degli strumenti cautelari nel processo penale (sentenze n. 1 del 1980, n. 64 del 1970)" . Sicche' non puo' ritenersi "soluzione costituzionalmente obbligata quella di affidare sempre e comunque al giudice la determinazione dell'accennato punto di equilibrio e contemperamento tra il sacrificio della liberta' personale e gli antagonisti interessi collettivi, anch'essi di rilievo costituzionale" . Al riguardo - e' stato considerato - la Corte costituzionale "ha posto cosi' in linea generale l'accento, quale giustificazione della necessita' della predeterminazione di una cautela piu' rigorosa, non tanto sullo specifico fenomeno mafioso, quanto sul livello degli interessi di rilievo costituzionali coinvolti dalle manifestazioni delittuose in relazione alla quale veniva posta la presunzione. Ha quindi affermato che non era irragionevole la scelta legislativa nello specifico posta alla sua attenzione, attuata mediante un inasprimento cautelare per i delitti collegati alla criminalita' organizzata di tipo mafioso, in considerazione del 'coefficiente di pericolosita' per le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere e' connaturato' (sentenze n. 103 del 1993, n. 407 del 1992); ancora sottolineando che l'eguale risposta cautelare a fronte di ipotesi delittuose tra loro diverse' trovava ragione nel 'comune denominatore', costituito (non gia' dalla `mafiosita' in se') ma dalla messa a rischio, ad opera dei delitti considerati, di 'beni primari individuali e collettivi, secondo la linea, come espressamente si rimarca, 'gia' scrutinata con la sent. n. 1 del 1980'. E la linea di ragionevolezza gia' scrutinata dalla sentenza n. 1 del 1980 (avente ad oggetto il divieto della concessione della liberta' provvisoria per certuni reati, posto dalla legge n. 152 del 1975, articolo 1), era stata, per l'appunto, individuata - alla luce del contesto fattuale che aveva determinato l'intervento normativo oggetto di dubbio - mediante il collegamento al pericolo di reati 'aventi taluna fra le caratteristiche...: uso d'armi - o di altri mezzi di violenza contro le persone, riferibilita' ad organizzazioni criminali comuni o politiche, direzione lesiva verso le condizioni di base della sicurezza collettiva o dell'ordine democratico, che aggregava l'inasprimento cautelare sotto l'esigenza "della tutela da comportamenti violenti, lesivi dell'incolumita' o liberta' o sicurezza individuale o collettiva, o da nuove forme di manifestazione della criminalita' comune e politica". Conclusivamente, riguardando il caso in esame il delitto d'omicidio volontario ed essendo "il bene leso, la vita umana, addirittura il primo tra i beni di rilievo costituzionale" questa Corte ha ritenuto che non potesse "revocarsi in dubbio che la fattispecie dell'articolo 575 Codice Penale rientri appieno nella categoria dei delitti ai quali ha fatto riferimento l'ordinanza n. 450 del 1995, allorche', individuandoli mediante il comune denominatore della esigenza di salvaguardia di bene primari, ha ritenuto non irragionevole per essi la predeterminazione di regole cautelari piu' rigorose". 3.6.2 - Tali conclusioni, tuttavia, devono essere necessariamente riviste alla luce del piu' recente e successivo arresto del Giudice delle leggi, invocato, a ragione, dal ricorrente (peraltro, successivamente alla proposizione del ricorso, proprio, in termini, in relazione al delitto di omicidio il Tribunale di Lecce in funzione di giudice dell'appello dei provvedimenti incidentali de liberiate, giusta ordinanza del 18 novembre 2010, ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale). In estrema sintesi, la Corte costituzionale, ricostruito il sistema normativo, alla luce di principi costituzionali che informano la materia, assume la premessa che la eccezione alla disciplina generale codicistica delle misure coercitive, colla introduzione (a opera delle varie novelle espressione della decretazione di urgenza sotto spinte alterne di natura emergenziale) della presunzione assoluta di adeguatezza della coercizione di massimo rigore, puo' trovare giustificazione solo nella rispondenza "a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit, e fondati su adeguata "base statistica"; mentre l'eccezione in parola. risulta irragionevole e lesiva del principio di uguaglianza "tutte le volte in cui sia 'agevole' formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa". Cio' posto il Giudice delle leggi afferma: "non puo' estendersi la ratio gia' ritenuta [..] idonea a giustificare la deroga alla disciplina ordinaria, quanto ai procedimenti relativi a delitti di mafia in senso, stretto; vale a dire che dalla struttura stessa della fattispecie e dalle sue connotazioni criminologiche - connesse alla circostanza che i' appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un'adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice - deriva, nella generalita' dei casi concreti ad essa riferibili e secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa, una esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in carcere, non essendo le misure 'minori' sufficienti a troncare i rapporti tra l'indiziato e l'ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosita'". Eppero', all'infuori dell'ambito dei reati in questione - "la cui connotazione strutturale astratta (come reati associativi e, dunque, permanenti entro un contesto di criminalita' organizzata, o come reati a tale contesto comunque collegati) vale[..] a rendere "ragionevoli" le presunzioni in questione e, segnatamente, quella di adeguatezza della sola custodia carceraria, trattandosi, in sostanza, della misura piu' idonea a neutralizzare il periculum libertatis connesso al verosimile protrarsi dei contatti tra imputato ed associazione" - pare che (alla stregua della piu' recente valutazione della Corte costituzionale) il "regime cautelare speciale di natura eccezionale" non trovi giustificazione alcuna in relazione a condotte delittuose, le quali, seppure odiose, riprovevoli e gravi, come l'omicidio, per le caratteristiche "meramente individuali" del modello di condotta e per le coessenziali, relative "connotazioni", tali "da non postulare esigenze cautelari affrontabili solo e rigidamente con la massima misura". Conclusivamente, alla luce delle considerazioni che precedono e dei criteri affermati dal Giudice delle leggi nel citato arresto, questa Corte reputa non manifestamente infondato il sospetto che la norma impugnata violi, in parte qua, colla assolutezza della presunzione stabilita: - l'articolo 3 della Costituzione, "per l'ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi" al delitto di omicidio "a quelli concernenti i ;delitti di mafia, nonche' per l'irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati"; - l'articolo 13, primo comma, della Costituzione, "quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della liberta' personale" sotto il profilo che la rigidita' della disciplina, per effetto della assolutezza della presunzione, si pone in contrasto col criterio del "minore sacrificio necessario", non consentendo veruna modulazione e graduazione della compressione della liberta' personale e la adozione di "meccanismi 'individualizzati' di selezione del trattamento cautelare, parametrati sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete"; - l'articolo 27, secondo comma, della Costituzione, "in quanto attribuisce alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena". 3.6.3 - Consegue, in accoglimento della eccezione difensiva, la proposizione della questione di legittimita' costituzionale. 3.7 - La Cancelleria provvedera' agli adempimenti di rito ai sensi dell'articolo 94 DISP. ATT. C.P.P.